L’area del Vulture è abitata fin dalla preistoria. Al Paleolitico inferiore (700.000 anni fa) risalgono i ritrovamenti di Venosa (Notarchirico) e di Atella-Vitalba, concentrati nei pressi di zone umide e di bacini lacustri ormai scomparsi come l’antico Lago Pesole, che occupava la valle di Vitalba tra l’attuale castello federiciano e il monte Vulture, allora in piena attività vulcanica.
Erano habitat ideali per attività antropiche fondate quasi esclusivamente sulla caccia ai grandi mammiferi. Le notevoli differenze climatiche rispetto a oggi consentivano la presenza di specie animali come la tigre con i denti a sciabola, l’ippopotamo, l’elefante antico e il rinoceronte. Tutti animali che vivevano presso laghi e paludi, dove erano cacciati con ingegnose tecniche di accerchiamento, che costringevano la preda a impantanarsi nel fango.
Più che vere e proprie armi, gli utensili servivano soprattutto alle attività di taglio, scuoiatura, raschiatura e per lavorare il legno. Erano ottenuti mediante la scheggiatura di pezzi di selce o quarzite con percussori di pietra, legno e osso, usati per produrre sia grossi strumenti da taglio bifacciali, sia piccoli attrezzi per raschiare e grattare.
Nel territorio di Venosa si trova il parco di Notarchirico, un importante sito risalente al Paleolitico, dove sono presenti reperti del Pleistocene di età compresa tra 600.000 e 300.000 anni fa. Risalente all’epoca di attività vulcanica del Vulture, il sito di Notarchirico presenta ben undici livelli stratigrafici dovuti alla rapida accumulazione delle ceneri. Sono visibili resti di bisonti, uri e un intero cranio di elefante, accompagnati da utensili bifacciali usati per la macellazione. E’ stato anche rinvenuto, unico caso in Basilicata, un femore umano femminile di homo erectus.
Una parte dei reperti preistorici di Venosa, secondo un percorso cronologico che va dal Paleolitico all’Età del Bronzo, sono esposti in una sezione del Museo Nazionale di Venosa, ubicata nel bastione nord del castello aragonese.