Con i Normanni arriva nel Vulture anche il culto latino e, con esso, le abbazie benedettine. Sant’Ippolito, importante complesso monastico nell’istmo tra i due laghi di Monticchio, diventa così il nuovo centro della potente comunità monastica che possiede proprietà in tutta la zona, comprese le più importanti chiese di Melfi: San Lorenzo, San Nicola e Sant’Antonino, ma anche terreni in Calabria e Puglia.
Nel ’300 si tiene all’abbazia di Monticchio un’importante fiera annuale, famosa in tutto il circondario e l’abbazia prosperò fino al 1456, quando un disastroso terremoto la rade quasi interamente al suolo.
Gli insediamenti appartenenti all’Abbazia si estendevano anche l’area detta del Castello di Monticchio, oggi ubicata all’interno della riserva naturale Grotticelle. Il Castrum Monticuli era in realtà una torre di guardia sull’Ofanto, forse già appartenente alla linea difensiva bizantina contro i Longobardi, ma documentato a partire dall’epoca normanna. Appartenne poi all’Abbazia di S. Ippolito e sarà abbandonato dopo il terremoto del 1456.
Per le sue vicende insediative e patrimoniali, registrate nella documentazione scritta e nelle strutture materiali, l’abbazia di Sant’Ippolito rappresenta una delle realtà storiche e monumentali più complesse non solo della Basilicata ma dell’intero Meridione nel Medioevo.
I confronti sono con i più grandi monasteri dell’Italia centro meridionale: S. Vincenzo al Volturno, Santa Sofia di Benevento e Montecassino, con i quali esso condivide modalità insediative, rapporto con il territorio e l’ambiente circostante, oltre che fasi storiche.
L’insediamento monastico di Monticchio è formato da due siti distinti ma collegati tra loro: in alto il santuario micaelico rupestre o abbazia di S. Michele, racchiuso all’interno delle più tarde fabbriche francescane che inglobano la grotta dedicata all’Arcangelo, con affreschi dell’XI secolo.
In basso il monastero tra i due laghi, che controlla il santuario. La struttura più antica dell’insieme è il triconco, al cui esterno sono visibili la fossa di fondazione dei muri e la preparazione del pavimento interno dell’edificio, realizzato con tessere in materiale lapideo e in cotto.
Questa struttura a terminazione triconca costituisce una unità architettonica a sé stante, definita dalla terminazione a tre absidi e da un nartece che la precede, realizzata probabilmente nel X secolo a una quota inferiore di circa un metro e mezzo rispetto al resto delle strutture successive.
Sono stati inoltre rintracciati i resti di una piccola chiesa ad aula unica con un solo abside, in una posizione totalmente fuori asse rispetto al triconco, ma coerente con le altre fabbriche del monastero. Il muro di fondazione dell’abside è stato costruito a una quota superiore rispetto al triconco, contro la faccia vista del perimetrale sud del nartece, quindi in una fase successiva. Gli scavi sono tuttora in corso.
Il lacerto di pavimento in opus sectile di pietra e laterizio, conservato ancora in situ è stato datato al secolo XI. Un saggio di scavo all’interno della navata centrale della grande chiesa ha finora documentato l’esatta ubicazione di due basi di lesena, addossate ai muri perimetrali e funzionali o al sistema di copertura della navata stessa o alla presenza di un arco di accesso alla zona absidata.
Gli scavi più recenti, del 2011, hanno messo in luce quasi completamente il chiostro occupato da un cimitero di cui sono state indagate otto sepolture, tutte in fossa terragna, di forma antropomorfa, spesso destinate a deposizioni plurime con individui in posizione supina, con le braccia piegate sui fianchi o all’altezza del torace e piedi incrociati. Le sepolture erano prive di corredo. I reperti si riducono a pochi frammenti ceramici e a una moneta di età federiciana, che consentono di datare la frequentazione del cimitero monastico al XIII secolo.
La novità assoluta degli ultimi scavi riguarda però un altro settore dell’insediamento monastico fino a ora sconosciuto, composto da complesse strutture funzionali relative a un ampliamento del monastero avvenuto in età normanno-sveva, che comprende un ulteriore edificio di culto con un’abside di circa tre metri, all’interno della quale è presente la base in muratura di pietrame dell’altare.
Frammenti di intonaco e laterizi dipinti, alcune monete tra cui un follis anonimo bizantino, pochi frammenti ceramici ed elementi architettonici, testimoniano una frequentazione dell’edificio tra XI e XII secolo, mentre alcuni frammenti di ceramica invetriata policroma e un architrave decorato a rilievo testimoniano un attardamento nella frequentazione della struttura ai secoli XIII-XV.
Nello spazio retrostante e laterale all’edificio si distribuisce un vasto cimitero la cui fase più recente, coeva con la chiesa appena descritta, restituisce materiali di corredo costituiti soprattutto da accessori dell’abbigliamento personale degli inumati, pochi frammenti ceramici, vetri e monete che ne datano la frequentazione tra la prima metà del XII secolo e la metà del XIII.
Diverse sono le tipologie di contenitori funerari: tombe a fossa terragna, tombe con tagli rivestiti da blocchi lapidei o tufo e destinate ad inumazioni plurime, in posizione supina, con le braccia portate all’addome e le mani incrociate.
Tre setti murari delimitano il cimitero, uno dei quali presenta una superficie affrescata, parzialmente conservatasi e interessata da un motivo policromo raffigurante una scacchiera a rombi obliqui in giallo e nero; la presenza di tale elemento decorativo testimonia l’esistenza di una struttura molto più articolata ancora da esplorare.
Infine, dietro l’abside della chiesa, una estesa chiazza di bruciato e numerosi residui della lavorazione del bronzo testimoniano la presenza di un impianto produttivo definito da una struttura in pietre e malta, da una piccola area con un apprestamento di pietre e concotto di forma ovale e da una buca da palo verosimilmente funzionale a una copertura provvisoria. In assenza di reperti archeologici datanti, è ipotizzabile il suo impiego in età tardomedievale, forse in concomitanza con l’abbandono della chiesa stessa.