Con l’arrivo dei Savoia, la necessità di denaro per ripianare le vuote casse dello Stato piemontese spinge il nuovo governo a saccheggiare e confiscare il patrimonio pubblico del soppresso stato meridionale, disponendo tra l’altro la chiusura del Convento di San Michele, anche se l’ordine può essere eseguito solo cinque anni dopo, nel 1866, a causa dell’esplosione del fenomeno del brigantaggio, che ha proprio Monticchio come epicentro.
Viene quindi disposta la vendita all’asta degli antichi possedimenti, con incasso a favore dello Stato italiano, affidando le vendite a una società di proprietà delle banche del nord. Monticchio fu così ceduta per sei milioni di lire al Credit Foncier di Ginevra, una banca svizzera interessata alle costruzioni ferroviarie nella valle dell’Ofanto, che però non pagò il prezzo a causa delle opposizioni dei comuni di Rionero e Atella all’esecuzione dei lavori ferroviari.
Il programma ferroviario riprende nel 1879: i vincitori dell’appalto sono gli imprenditori marchigiani Annibale e Ubaldo Lanari, che decidono di acquistare all’asta la tenuta di Monticchio, per oltre 5.000 ettari da cui trarre il legname per le traverse.
I Lanari iniziano un grande programma di ammodernamento agricolo, trasferendo intere famiglie di contadini dalle Marche, introducendo la mezzadria, costruendo numerose case coloniche e produzioni all’avanguardia come la lana Merinos dalla Nuova Zelanda, il tabacco, la barbabietola da zucchero, il granoturco, l’elettricità, l’imbottigliamento dell’acqua minerale e le terme.
Tra le poche eredità sopravvissute di quell’esperienza imprenditoriale è il distretto delle acque minerali del Vulture, noto su tutto il territorio nazionale.