Agli antichi popoli che lo osservavano dalle alte serre dei monti irpini il Vulture appariva non troppo alto: un monticulum insomma, che si ergeva isolato contro la vasta pianura pugliese. Da quei monti lo separa una stretta gola, in cui si insinua il fiume Ofanto prima di piegare verso est nella grande ansa che lo conduce in Adriatico.
Questa valle, presidiata dai Dauni e poi dai minacciosi Sabelli, era uno dei rari passaggi in mezzo all’Appennino meridionale. Per questo è stata frequentemente percorsa, fin dall’Età del Bronzo, da mercanti diretti alle colonie greche di Heraclea, Metapontum e Taras, l’odierna Taranto, o verso la città etrusca di Capua.
Punto di sosta privilegiato per l’abbondanza delle sue acque che occupano anche il fondo del suo cratere con due splendidi laghi, questo Monticchio vede così sorgere numerosi siti dedicati ai culti ancestrali della fertilità e della vita, i cui arredi e statuette votive sono oggi custoditi presso il Museo Provinciale di Potenza.
La presenza di queste comunità continuerà ininterrotta nel tempo lungo tutto il corso dell’Ofanto, come ci raccontano anche i reperti delle altre aree archeologiche nel territorio di Melfi: Rendina, Pisciolo, Chiucchiari, esposti al Museo Nazionale del Melfese.