Dopo l’abbandono da parte dei benedettini l’abbazia di Monticchio è utilizzata per circa un secolo come luogo di romitaggio obbligato per i novizi più indisciplinati del monastero agostiniano di Melfi, in una sorta di colonia penale. Successivamente il papa decide di affidare le rendite dell’abbazia come commenda feudale ai cardinali della curia romana e tra questi, nel 1591, al cardinale milanese Federico Borromeo, allora appena ventisettenne.
Si tratta del futuro arcivescovo di Milano, zio del celebre madrigalista Gesualdo da Venosa e cugino di San Carlo Borromeo, ma egli stesso reso celebre da Manzoni nei Promessi Sposi. Prima di accettare, Federico si consiglia con il suo maestro Filippo Neri, ottenendone incoraggiamento. Borromeo scaccia subito gli agostiniani, la cui condizione è resa ancora più grave da un’epidemia di peste su cui riceve vari resoconti scritti e affida il monastero ai Cappuccini.
Con l’arrivo dei francescani l’abbazia diventa convento. Il sito ormai malsano tra i due laghi è definitivamente abbandonato e sostituito da una nuova costruzione a picco sui laghi, che ingloba al suo interno la grotta di San Michele. Intanto il Borromeo concede all’Ospedale di Napoli di utilizzare le acque termali di Monticchio Bagni per la cura degli ammalati.
Un ex voto rinvenuto presso le terme testimonia infatti la riconoscenza di un degente, che si dice risanato dalle acque di San Carlo: si tratta del Borromeo cugino del cardinale. Con questo nome le acque di Monticchio divengono note in tutto il Viceregno di Napoli, mentre le rendite delle terme e del monastero servono al cardinale per compiere opere di carità e per fondare la celebre Biblioteca Ambrosiana di Milano, ma lo mettono in rotta di collisione con la comunità melfitana, sempre più insofferente alle decime e gabelle imposte dalla potente abbazia sulle proprietà feudali.
Alla fine del ’700 le riforme borboniche eliminano il feudalesimo e assorbirono nel patrimonio statale l’Abbazia di Monticchio, provvisoriamente affidata al Sacro Ordine Militare Costantiniano di San Giorgio, per essere poi definitivamente confiscata dallo Stato in epoca napoleonica.