Nel 1130 Ruggero II riuscì a unificare nuovamente tutti i domini meridionali dei normanni, che dopo la morte di Roberto il Guiscardo si erano divisi tra Sicilia e continente.
Per legittimare il suo potere chiese e ottenne da Anacleto II la corona di re di Sicilia, un titolo che fino a quel momento non esisteva poiché i normanni governavano in nome del papa ancora con il rango feudale di duchi di Puglia, strappato da Roberto il Guiscardo nel 1059.
Il papa accettò e confermò l’incoronazione proprio nel concilio di Melfi, anche perché Ruggero aveva contribuito in modo decisivo alla sua elezione.
Anacleto proveniva da una potente famiglia romana di origine ebraica, i Pierleoni, vicina ai normanni di Melfi fin dai tempi della vittoria contro papa Leone IX nella battaglia di Civitate del 1056.
I Pierleoni disponevano di notevoli risorse economiche e dominavano sull’intero quartiere di Trastevere, dove vivevano in una fortezza tuttora esistente e nota come torre di Trastevere.
Contro l’elezione di Anacleto si schierò tuttavia una fazione opposta che sosteneva un altro candidato, Innocenzo II. Questa fazione aveva il suo massimo esponente in Bernardo da Chiaravalle e il suo braccio armato nei cavalieri Templari, di cui Bernardo aveva scritto la Regola ed era considerato il padre spirituale.
La regola dei Templari lascia il lettore moderno piuttosto sorpreso, se si pensa che è stata scritta da uno dei maggiori santi della cristianità, considerato un grande mistico, il quale non esitò a scrivere che uccidere un infedele non costituisce peccato, in quanto non si commette un omicidio ma, semmai, un malicidio.
Alla fine prevalse la fazione di Innocenzo, anche grazie alle armi dell’imperatore germanico. Perciò la Storia relegò Anacleto al ruolo di antipapa e la Chiesa non riconobbe validità all’importante concilio di Melfi del 1130.
Tuttavia il Regno di Sicilia riuscì a resistere al tentativo di considerarlo illegittimo e, anzi, a partire da quel giorno si consolidò e visse un intero secolo di splendore.