Nel salone degli argenti a piano terra sono esposti paramenti liturgici e preziosi arredi sacri acquisiti al patrimonio vescovile nel corso dei secoli. La collezione ha subìto gravi perdite durante il decennio napoleonico, a causa delle leggi soppressive degli enti religiosi e di confisca del patrimonio ecclesiastico.
Uno dei pezzi più pregiati è una scultura del 1779 che rappresenta la Gloria di Sant’Alessandro appartenente alla collezione di mons. De Vicariis. L’opera è lavorata utilizzando tutte e tre le tecniche toreutiche: lo sbalzo a percussione, il cesello e l’incisione con il bulino.
Altre opere di pregio sono un Cristo risorto di scuola napoletana e una serie di cartaglorie usate nel rito tridentino, opera dell’artista napoletano Pietro Florio. Le cartaglorie erano tre tabelle collocate sull’altare, che riportavano alcune formule e preghiere in latino da recitare durante l’Ordinario della Messa. Il nome deriva dal formulario centrale su cui era tra l’altro inciso il Gloria in Excelsis Deo.
Le tabelle laterali si chiamano rispettivamente in cornu epistulae, sulla destra guardando l’altare, che reca il salmo Lavabo recitato durante l’Offertorio e in cornu Evangelii, sulla sinistra, contenente l’esordio del Vangelo di Giovanni, detto Ultimo Vangelo perché recitato alla fine della celebrazione eucaristica.
Un reliquiario in rame dorato del ’400 custodisce una Santa Spina.
Pregevoli sono anche i paramenti di scuola napoletana, datati dal ’600 all’800. Tra questi, una pianeta in seta bianca con ricami in oro donata da papa Benedetto XIII, al secolo Pietro Francesco Orsini dei duchi di Gravina, al nipote nominato vescovo di Melfi agli inizi del ’700.