Racconta Erchemperto, monaco longobardo, che al tempo di Costantino il Grande alcune famiglie romane si misero in viaggio per mare. Partivano dall’Italia e volevano trasferirsi a Costantinopoli, la nuova capitale dell’impero. Durante la traversata in Adriatico furono però colpite da una tempesta e naufragarono sulle coste della Slavonia, presso la città di Ragusa. Qui si stabilirono, accolte con benevolenza dalla popolazione locale.
Ben presto però le cose cambiarono: i famigerati pirati narentani, che abitavano le isole e le coste di Ragusa, cominciarono a tormentare i nuovi arrivati con continue angherie, costringendoli a prendere nuovamente il mare verso l’Italia. I pellegrini sbarcarono quindi in Puglia e da qui si inoltrarono nell’interno dove, individuata una bella collina nel punto in cui la piana si stringe in una gola per inoltrarsi nell’Appennino, fondarono la città di Melfi.
Passò altro tempo e anche questo luogo divenne insicuro, assediato di continuo da Goti e Saraceni. Alcuni decisero perciò di partire di nuovo e, attraversato il valico nell’Appennino, raggiunsero prima Eboli e poi la sponda opposta sul mar Tirreno. Qui trovarono finalmente un luogo sicuro per vivere che chiamarono Amalfi: nome che significherebbe, appunto, città nata da Melfi. Narra lo storico dell’800 Gennaro Araneo che, in ricordo delle antiche peripezie subite in Slavonia, ogni volta che un melfitano vuole indicare un uomo malvagio e senza scrupoli lo chiama rausèo.
Questo racconto ammantato di leggenda, ripreso anche dal Chronicum Amalphitanum, potrebbe non essere privo di fondamenti storici. Infatti nei pressi della Ragusa adriatica, oggi Dubrovnik, esiste una piccola baia con un antico villaggio chiamato Malfi o Malphum, oggi Zaton. Quasi di fronte, sulla costa pugliese, fin dall’anno 925 si ha notizia di una città chiamata Melfi che sorgeva sulla piccola penisola di Sant’Andrea, oggi Molfetta.
Toponimi simili, dunque, che riportano a una possibile origine comune: non è escluso che essa sia legata alle peregrinazioni di una gens romana di epoca tardo imperiale, chiamata forse malphia o melphia, che ha lasciato una traccia del suo trasferimento verso Costantinopoli, il nuovo centro dell’impero. Sarebbero comunque eventi che non risalirebbero all’epoca di Costantino, come racconta Erchemperto, ma piuttosto all’età bizantina a partire dal VII secolo d.C., quando la città di Ragusa esisteva e aveva stretti contatti, attraverso l’Adriatico, con le città bizantine di Ancona e della Pentapoli marittima.
Ciò che sappiamo con certezza è che questo piccolo cono vulcanico del Vulture, collocato allo sbocco della valle dell’Ofanto nell’ampia piana pugliese, in una zona ricca di acque e facile da difendere, era già abitato in epoca molto più remota di quella romano bizantina. Alcuni resti di attività di caccia presenti nelle campagne di Atella e Venosa risalgono addirittura al Paleolitico. Più prossimi all’odierna città sono gli insediamenti neolitici lungo la valle dell’Ofanto.
Ma le tracce più importanti di comunità ben organizzate si riferiscono all’Età del Ferro e all’epoca arcaica, dall’VIII secolo a.C. in poi. Le popolazioni enotrie, daunie e poi lucane vivevano in comunità ricche e organizzate in gerarchie, legate da stretti rapporti commerciali e scambi culturali con le colonie della Magna Grecia e con le popolazioni etrusche della Campania. Tracce notevoli dei loro insediamenti e necropoli impreziosite da corredi principeschi e militari sono disseminate in tutta la zona e forniscono continuamente reperti, oggi custoditi nel Museo Nazionale del Melfese, ospitato all’interno del castello di Melfi.