Nel 1313 la signoria di Firenze fu concessa volontariamente dai cittadini al re di Napoli Roberto d’Angiò. Da quel punto in avanti si rafforzarono notevolmente i legami tra la città toscana, che stava per vivere la sua epoca d’oro, e il regno meridionale. In particolare alla corte di Napoli si mise in risalto il mercante Niccolò Acciaioli, che ricevette dal re importanti incarichi militari tra i quali la riconquista dei possedimenti angioini in Grecia, per i quali fu ricompensato con la concessione in feudo di Melfi.
Niccolò era amante delle arti e fu amico personale di Petrarca e Boccaccio, che ospitò. Grazie alla sua signoria, sono numerosi i mercanti fiorentini che si insediano a Melfi in quel periodo, seguiti da funzionari, notai e amministratori degli interessi economici.
Tra questi va ricordato Francesco Eustachio de’ Portinari. Nel suo testamento del 1373, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, si apprende che è un discendente diretto di Folco Portinari, il padre della Beatrice di Dante. Nel documento sono citati molti altri illustri fiorentini illustri che vivono stabilmente a Melfi: oltre al notaio Di Lorenzo che redige l’atto, cita un Gerio di Cinnamochi, Niccolò Soderini e i banchieri Antonio Del Bene e Jacopo Salvini.
Il testamento apre anche uno squarcio sulla vita sociale della città, grazie ai beneficiari di piccoli lasciti come Bionda la Tavernara, destinataria di dieci tarì o i fruttivendoli della piazza, che ricevono tre tarì. Portinari abitava nella parrocchia di San Giovanni del Castello, a pigione dal ricco possidente Guglielmo Moccia e per la sua morte dispose di essere seppellito nel convento di San Francesco a Melfi, all’epoca già esistente. La tomba è probabilmente ubicata nella cappella posta dietro l’altare maggiore della chiesa di San Francesco, oggi Sant’Antonio.