Il lato ovest, verso la piazza, reca la firma abbozzata dell’architetto, che si legge su una pietra decorata con incisioni che ricordano le maniglie e le cerniere di un forziere:
Regi Rogerio
Noslo Remerii
fecit hoc
Anno ab Incarnatione
Domini Nostri Jesus Christi
MCLIII.
Per re Ruggero
Noslo di Remerio
fece ciò
nell’anno dall’Incarnazione
di Nostro Signore Gesù Cristo
1153.
Le decorazioni della lapide hanno alimentato la leggenda popolare secondo cui essa sia effettivamente un forziere dietro il quale si celerebbe un tesoro, depositato dal re come garanzia per la ricostruzione dell’opera in caso di crollo. La leggenda è alimentata dalla frequente e dolorosa esperienza di terremoti che la città di Melfi ha subito nel corso dei secoli.
Su questo lato del campanile sono visibili altre pietre di spoglio di origine romana tra cui un capitello decorato, una protome di leone che reprime un ariete e una lapide funeraria dedicata al figlio Quinto Sedeciano Rufino, morto a trent’anni, dai suoi genitori Quinto Sedeciano Silvano e Accia Dorca:
Q. SEDECIANO RUFINO
VIXIT ANNIS XXX
Q. SEDECIANUS SILVANUS P.
INFELICISSIMO FILIO
ET ACCIA DORCAS P.
A Quinzio Sedeciano Rufino
(che) visse trent’anni
figlio infelicissimo
Quinto Sedeciano Silvano p(ose)
e Accia Dorca p(ose)
In alto sono incastonati un leone e un grifo in pietra vulcanica, che contrastano con la pietra bianca calcarea della costruzione. Sono simboli allegorici della dinastia normanna. In particolare, il leone è presente fin dall’inizio nelle insegne del ducato di Normandia ed è stato trasferito oltre Manica da Guglielmo il Conquistatore, dopo la conquista dell’Inghilterra nel 1066. Ancora oggi il triplice leone normanno rampante è l’emblema della corona del Regno Unito.
Due splendidi leoni d’oro sono intessuti sul mantello regale di re Ruggero II, trafugato da Enrico VI Hohenstaufen, padre di Federico II e trasferito in Germania, dove per secoli è stato indossato dagli imperatori il giorno dell’incoronazione, fino alle soglie del Novecento. Pervenuto infine agli Asburgo, è oggi custodito ed esposto a Vienna.