Il culto dei defunti

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Le informazioni sulle popolazioni che vissero nel Vulture in età arcaica, tra l’VIII e il IV secolo a.C., provengono soprattutto dallo studio delle numerose necropoli.

Ad esempio, la differenza tra le varie sepolture e la loro posizione ci fornisce importanti indicazioni sul rango sociale dei deposti e, quindi, sulla struttura gerarchica della comunità.

La posizione del defunto, invece, ci dà notizia sull’etnia alla quale si riferisce la necropoli: i Dauni usavano seppellire i propri cari in posizione fetale o rannicchiata all’interno di sepolcri singoli a fossa, mentre i Lucani, subentrati successivamente in modo violento, usavano sepolture in posizione supina all’interno di tombe a camera scavate nella roccia.

I personaggi più eminenti, già in epoca daunia, erano sepolti in fosse di più ampie dimensioni, rivestite da tavole in legno e coperte da tumuli di pietre a segnalare la sepoltura. La disposizione interna dei corredi intendeva così riprodurre l’ambiente domestico.

In epoca più tarda, soprattutto nella zona di Forentum (Lavello) si sviluppano anche tombe a pozzo molto profonde e, nel IV secolo, a grotticella, fino ai monumentali sepolcri a camera di epoca lucano sannitica, che presentano addirittura corridoi di accesso e scalinate.

Nel III secolo questi ambienti sotterranei diventano ancora più articolati, essendo destinati a interi nuclei familiari, secondo il nuovo uso macedone.

Gli oggetti a corredo della deposizione ci danno notizie sui riti funebri e sulle abitudini sociali della comunità. I guerrieri sono di solito sepolti con le armi da offesa e da difesa, mentre le donne giacciono con ornamenti, spesso di tipo nuziale.

La ricchezza del corredo, di fatto abbandonato nella tomba, è un indicatore del prestigio e del rango sociale raggiunto dalla famiglia.

Scudi rivestiti di bronzo, statuette di ambra, fibule d’oro, candelabri di bronzo e vasellame dipinto di alta fattura sono frequenti nelle tombe del Melfese.

Un’usanza ricorrente, derivante dalle colonie greche, era il simposio rituale, cioè la credenza che il defunto avrebbe celebrato una sorta di convivio nell’aldilà, simile a quelli che ha tenuto in vita.

Perciò veniva lasciato nel sepolcro un insieme di vasi, contenitori, utensili per mescere e attrezzi per sporzionare o cuocere il cibo, principalmente di terracotta ma a volte perfino di bronzo.

Le località in cui sono ubicate le necropoli e, con ogni probabilità, i relativi villaggi sono a loro volta indicatori delle abitudini sociali nelle varie epoche.

Le popolazioni più antiche, del Neolitico, vivevano su lievi rialzi di terreno lungo la valle dell’Ofanto, in prossimità del fiume, come nel villaggio della Rendina e in quelli vicini.

In epoca daunia, dall’VIII al V secolo a.C., con l’aumentare dei traffici e degli scambi lungo le valli dei vari fiumi i villaggi si collocano in posizioni più difendibili ed elevate, o vicine ai guadi fluviali da sorvegliare, come nel caso di Melfi Chiucchiari, Melfi Pisciolo, Banzi e Ruvo del Monte.

In altri casi, come a Leonessa, il villaggio aveva funzione di un primitivo presidio rurale cresciuto contemporaneamente allo sviluppo delle prime coltivazioni di cereali.

Le necropoli di Melfi Cappuccini, Melfi Valleverde e alcune di Forentum Lavello ci presentano invece i caratteri della popolazione osco-sabellica dei Lucani, che conquistò violentemente il territorio del Vulture nel IV secolo, sottraendolo ai Dauni e agli Enotri che lo abitavano da secoli.

I precedenti villaggi furono depredati e in gran parte distrutti, ma anche molte tombe furono saccheggiate come a Ruvo del Monte.

Le tombe lucane, a camera con deposizione supina, presentano corredi più poveri tranne poche eccezioni, come a Melfi Valleverde dove sono state ritrovate pissidi dipinte con il mito di Eros, usate per la kommitike tekne, cioè la pratica del trucco femminile tipica dell’età ellenistica.

Il dominio lucano durerà meno di un secolo, travolto dall’espansione romana che riorganizzerà il territorio attraversandolo con la via Appia e fondando il primo grande centro urbano: la colonia di Venosa, abitata da 20.000 cittadini trasferiti dal Lazio.