Nel XV secolo la cinta muraria orientale della città, probabilmente già parzialmente edificata in epoca federiciana e angioina, fu ulteriormente ampliata dai feudatari aragonesi Caracciolo e potenziata per renderla resistente alle nuove armi d’offesa da fuoco, come le bombarde e le mine.
Un bell’esempio delle difese di quest’epoca è il tratto perfettamente integro che costeggia via Federico II, un tempo sul ciglio di un burrone poi riempito dalle macerie del terremoto del 1930 e sul quale oggi sorge la villa Comunale. In ricordo dell’antica collocazione radente al burrone, il tratto murario è ancora oggi noto ai melfitani come Murasciale, ossia muro radiale.
Esso è caratterizzato dai possenti bastioni a spalla o cilindrici a orecchioni. In esso si apre ancora oggi la breccia da cui entrarono i francesi e le famigerate bande nere nel 1528, di fianco all’unica porta ancora integra della città: la porta Venosina, restaurata da Giovanni Caracciolo che vi fece apporre i suoi stemmi e una lapide commemorativa che ricorda l’imperatore Federico II.
Vetustas me destruxit
Federicus me reparavit
Melphis nobilis Apuliae civitas
Muris vallata lapideis,
Aeris salubritate
Populorum frequentia,
Agrorum ubertate Celebris
Arcem habet precipit rupi innixam
Normannorum opus admirabile
L’antichità mi ha distrutta,
Federico mi ha riparata,
Melfi nobile città della Puglia,
Circonvallata da mura di pietra,
Celebre per la salubrità dell’aria,
Per affluenza di popolazioni,
Per fertilità dei suoi campi,
Ha un castello costruito su di una rupe ripidissima,
Opera mirabile dei Normanni
Il basilisco alato dei Caracciolo rappresenta ancora oggi l’emblema e il gonfalone della città di Melfi.
Dopo l’eccidio del 1528, un secondo insediamento albanese promosso dall’imperatore Carlo V occupò la zona centrale di via Ronca Battista, dove fu edificata da Georgino Lapazaj la chiesa di Santa Maria ad Nives. L’originario quartiere albanese venne invece abitato da borghesi e mercanti di origine bergamasca, attirati dal commercio laniero della Dogana delle Pecore di Foggia, che edificarono importanti palazzi gentilizi soprattutto lungo corso Garibaldi, tra cui Palazzo Donadoni oggi sede del Museo Civico.
L’area più orientale della città, benché ormai chiusa nelle mura fin dal XV secolo, fu per molto tempo destinata a orti. In essa sorsero tuttavia alcuni monasteri, come quello delle clarisse di San Bartolomeo e quello di Sant’Agostino.
Oltre alle quattro porte principali della Calcinaia, dei Balnea, Troiana e Venosina, vanno ricordate anche le portierle pedonali di Sant’Antolino, spostata ancora più a oriente rispetto alla prima collocazione, di Sant’Agostino, di Santa Maria, di San Benedetto e di Santa Lucia, quest’ultima collocata nelle mura normanne all’angolo tra via Novella e via Vittorio Emanuele, poi assorbite nell’abitato svevo-angioino.