Storia di Barile

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Barile è un borgo arbëreshë di circa 3.000 abitanti sulle pendìci orientali del Monte Vulture. Come molti centri vicini, il sito fu abitato già in età arcaica, prima dell’arrivo dei Romani, ma la prima testimonianza storica risale all’epoca angioina, in particolare a un documento del 1332 che per la prima volta cita il casale di Barile insieme con quello vicino di Santa Maria di Rivo Nigro, la futura Rionero.

Appartenente alla diocesi di Rapolla, al casale fu destinata una comunità di albanesi giunti nel Vulture dopo la caduta di Scutari in mano ai turchi di Solimano il Magnifico nel 1477. Il Vulture era frequentato dagli albanesi già da alcuni anni, quando il condottiero epirota Georgio Skanderbeg inviò i cosiddetti stradioti, truppe mercenarie a sostegno del tentativo di Giovanni d’Angiò di riconquistare il Regno di Napoli agli aragonesi. Le comunità albanesi si stabilirono in parte a Melfi nel quartiere Chiuchiari e in parte nei casali di Maschito e di Barile, dove divennero noti con il nome di Clefiti o Schiupetari.

Una seconda immigrazione albanese di origine greca avvenne nel 1532 subito dopo la caduta del dominio occidentale sul Peloponneso, in particolare dopo la conquista turca di Corone e lo scoppio di una pestilenza. Questi albanesi erano di religione ortodossa e si chiamavano arvaniti. Nell’arco di alcuni secoli avevano ripopolato diversi luoghi della Grecia in crisi demografica, su iniziativa degli imperatori bizantini.

Anche la migrazione dei Coronei in Italia fu disposta dall’alto, quando l’imperatore Carlo V d’Asburgo decise di ripopolare la zona del Vulture ormai decimata dalla sanguinosa guerra contro i francesi di Carlo di Valois, terminata con l’eccidio di Melfi del 1528. La comunità di Barile si accrebbe ulteriormente quando alcune famiglie di coronei furono scacciate da Melfi alla fine del Cinquecento e accolte dai loro connazionali.

Fino al 1627 le celebrazioni liturgiche nei centri arbereshe avvenivano secondo il rito greco ortodosso, poi soppresso da una disposizione del vescovo di Melfi Deodato Scaglia. Nel 1675 giunse nel Vulture un’altra ondata, proveniente dalla città albanese di Maina. Questa terza migrazione è detta dei Camiciotti, per via della camicia nera che indossavano.

La comunità di Barile apparteneva al feudo melfitano dei Caracciolo e, quando questi fu scacciato dagli Asburgo, fu assegnata ai nobili napoletani Carafa. Barile fu anche al centro del brigantaggio post unitario, partecipando attivamente al movimento filo borbonico con banditi come Michele Volonnino e Teodoro Gioseffi, detto Caporal Teodoro, protagonisti di sanguinosi episodi di violenza con le bande di Carmine Crocco.