Tra gli aneddoti e le affabulazioni che la tradizione orale ci ha consegnato riguardo ai sanguinosi eventi della primavera 1528, assume un posto di primo piano la vicenda di Ronca Battista, quasi a testimoniare la ricercata contrapposizione tra le virtù del popolo minuto e i presunti vizi delle famiglie borghesi più eminenti, bollate con il marchio infame del tradimento, privo in realtà di riscontri storici.
Nelle fonti non vi è in realtà alcun cenno a questo tale Battista Cerone, anche se non è escluso che il personaggio storico fosse in realtà un esponente dell’antica famiglia Ronca, presente a Melfi fin dall’epoca sveva.
La leggenda narra che il boscaiolo Battista Cerone abbia ricevuto in dono dalla fata Primavera una scure fatata, la ronca, con la quale avrebbe poi difeso strenuamente la città opponendosi da solo e fino alla morte all’avanzata dei francesi, penetrati dalla breccia aperta di fianco alla porta Venosina lungo la via dei mercanti, che tuttora costeggia le mura dal lato interno e che oggi porta appunto il nome di Ronca Battista.
Una variante della leggenda vuole che il luogo in cui l’eroe sia morto è l’angolo posto tra la rampa di via Carmine e la stessa via Ronca Battista, dove fino al XIX secolo esisteva la portierla di Santa Maria e vi era incastonata una lapide su cui era scolpita una mano con una scure e le iniziali M.B., per lungo tempo ritenute l’acronimo di manu baptistae.
In realtà ci troviamo all’interno del secondo nucleo urbano albanese, che si insediò attorno alla chiesa di Santa Maria ad Nives edificata da Georgino Lapazaj. La casa in questione era di proprietà della potente famiglia albanese Bocdam, il cui massimo esponente era il notaio Marsilio Bocdam, cui potrebbero quindi ricondursi le suddette iniziali.