Durante i moti del 1799 Rionero si schierò con la repubblica partenopea, piantando l’albero della libertà e con esponenti giacobini di primo piano, tra cui il monaco Michele Granata. Con la Rivoluzione si schierò anche il giurista Giustino Fortunato senior, prozio del noto meridionalista. Alla caduta della Repubblica il Granata pagò con la morte, mentre Fortunato fuggì e poi, all’arrivo dei francesi, divenne fiduciario di Gioacchino Murat.
Su interessamento di Fortunato, Rionero divenne comune autonomo, per decreto di Murat del 1811, anche perché contava ormai ben 11.000 abitanti. Tuttavia, dopo il ritorno dei Borboni Fortunato seppe ingraziarsi nuovamente il sovrano, riuscendo perfino a diventare primo ministro del Regno dopo la seconda restaurazione, dal 1849 al 1852.
Nel periodo post unitario Rionero fu la capitale del brigantaggio filo borbonico, avendo dato i natali al bandito Carmine Donatelli Crocco, ex garibaldino. Pure Atella partecipò attivamente al fenomeno, con il bandito Giuseppe Caruso, luogotenente di Crocco, che però finì per tradire costituendosi alla Guardia Nazionale. Di Ripacandida erano invece i feroci Turtora, Di Biase e Larotonda.
Il brigantaggio era un sintomo di quella che sarebbe diventata la questione meridionale e di cui non a caso il massimo studioso è originario di Rionero: Giustino Fortunato.