L’Illuminismo avrà riflessi anche a Melfi nella lotta di Angelo Antonio La Monica contro i governatori dei Doria e i loro manutengoli locali, per riaffermare i diritti della collettività e combattere i soprusi fondati sullo strozzinaggio finanziario, protetto da poteri politici e giurisdizionali nelle mani del feudatario. La Monica prese spunto dall’aumento della gabella sulla farina imposta dal governatore Restori, per arrivare a contestare per la prima volta su basi giuridiche la stessa legittimità del regime feudale e affermare i diritti della comunità locale nell’uso del territorio su cui vive, proprio a partire dagli aspetti patrimoniali su cui maggiormente il potere dei Doria aveva pesato: l’uso delle terre collettive e gli altri usi civici, fonte di cospicue rendite reimpiegate nei secoli per prestare capitale a usura ai mercanti e borghesi locali.
A partire da questo risveglio delle coscienze, dapprima le riforme di Carlo III Borbone, poi il decennio napoleonico e infine le lotte risorgimentali cancelleranno il feudalesimo, anche se i nuovi paladini dell’Unità nazionale saranno, almeno all’inizio, esponenti delle stesse famiglie già colluse con il potere feudale o ecclesiastico come i Mandina, gli Araneo e gli Aquilecchia.
Durante il brigantaggio post-unitario emersero apertamente queste contraddizioni e ambiguità, che portarono la città a cambiare più volte schieramento in pochi mesi e addirittura a ospitare il brigante Carmine Crocco, ricevuto con tutti gli onori nel palazzo del barone Aquilecchia.
Il riscatto politico e morale della comunità cittadina avverrà a cavallo tra ’800 e ’900, con due figure emblematiche dell’antifascismo e del pensiero liberale provenienti dalla borghesia cittadina: Francesco Saverio Nitti e Attilio Di Napoli.