La fondazione di Venosa è attribuibile a popolazioni italiche, anche se essa si sviluppò soprattutto come colonia romana grazie al trasferimento (deduzione) di circa 20.000 persone dopo la vittoria sulla tribù sannita degli Irpini, a opera del console Lucio Postumio Megello nel 291 a.C. Il nome definitivo, Venusia, è legato al culto di Venere di antica origine fenicia, dea della vitalità, dell’amore e delle acque il cui culto ancestrale era presente da secoli sul Vulture e a Monticchio in particolare.
Con la crescita di importanza della città tutta la zona assunse il nome di agro venosino, abbracciando il Monte Vulture fino alla sponda destra del fiume Ofanto. Nel 279 a.C. essa fu campo di battaglia dei romani contro gli eserciti di Pirro, che nei pressi della vicina Ascoli ottenne a caro prezzo la famosa vittoria che, a causa delle ingenti perdite subite, così commentò: “un’altra così e sono rovinato”.
Durante la seconda guerra punica l’agro venosino ospitò le armate di Annibale, contro le quali l’esercito romano accampato a Venosa si scontrò nel 210 a.C., nella località Querce presso Strapellum (oggi Rapolla). In quella battaglia rimase ucciso il console Marco Claudio Marcello.
Sconfitti i cartaginesi Venosa fu ripopolata da veterani romani e fu elevata al rango di municipium, diventando un importante centro lungo il percorso della via Appia, l’arteria che collegava Roma con l’Oriente attraverso il porto di Brindisi. Dal 90 a.C. i suoi abitanti ottennero la cittadinanza romana.
Nel 43 a.C., dopo la morte di Giulio Cesare, i nuovi triumviri assegnarono buona parte dei terreni statali, il cosiddetto ager publicum, ai veterani di guerra, che colonizzarono per la terza volta Venosa. Le condizioni di quest’epoca sono ben descritte da Quinto Orazio Flacco, il celebre poeta latino nato in una villa della zona, sulle sponde dell’Ofanto presso i boschi del Vulture. Il contrasto sociale con i nuovi venuti fu particolarmente stridente per lui, giovane studente venuto dalla campagna, che si sentiva emarginato e schernito dai figli delle famiglie cittadine, appartenenti ai veterani di Cesare e Ottaviano.
Le testimonianze più importanti della Venosa romana sono visibili nel Parco Archeologico e nel Museo Nazionale all’interno del castello aragonese della città. Il parco archeologico è un importante sito romano del periodo repubblicano, con un impianto completo della città antica compreso tra due strade parallele pavimentate a basole.
Il percorso si apre con il complesso delle terme databile tra il I ed il III secolo d.C., composto da un frigidarium pavimentato a mosaico con animali marini e un calidarium con pilastri di mattoni. Prosegue con una domus di età imperiale a pianta quadrata, con un atrio centrale e vari ambienti decorati da pavimenti a mosaico. Più a valle, sulle fondamenta di un antico tempio dedicato a Imene sorse nel Medioevo l’Abbazia della SS. Trinità.
Nei pressi del parco si trovano i resti dell’anfiteatro romano risalente aI I secolo d.C. La costruzione è in opera reticolata e poggia su abitazioni più antiche. La cavea è suddivisa in tre settori sovrapposti, sorretti da corridoi ad anello e vari ambienti di servizio sotterranei, destinati al ricovero di attrezzature e animali da impiegare negli spettacoli. Dalle dimensioni si ritiene potesse contenere almeno 10.000 spettatori. Nell’arena si trova la terrazza del podio. Una tavola con i nomi dei gladiatori è visibile nella vicina abbazia Incompiuta, nella cui costruzione è stata utilizzata come pietra di spoglio in epoca medievale.
Il Museo presenta un’esposizione permanente che, dopo la prima sezione dedicata alla preistoria, prosegue con un tracciato cronologico in cui si incontrano resti di età preromana, la fase della colonizzazione in epoca repubblicana, l’età augustea con la tabula bantina e l’auguraculum, per finire con il periodo tardoantico. Numerose lungo il percorso sono le epigrafi, soprattutto a carattere funerario.
Anche lungo le strade e nei palazzi della città si possono ammirare numerose pietre di spoglio di epoca romana, come i “Fasti Municipali”, una tavola marmorea su cui sono incisi i nomi dei magistrati romani in città dal 34 al 28 a.C., o la cosiddetta “casa di Orazio”, in realtà un piccolo complesso termale oggi restaurato con tecniche di archeologia sperimentale.
Un’antica tradizione ritiene che il territorio lucano abbia visto il passaggio di San Pietro che, diretto a Roma, si sarebbe fermato ad Acerenza fondandovi una comunità cristiana e stabilendovi un vescovo. Non è esclusa la fondatezza di questa ipotesi, essendo la via Appia la principale via di comunicazione con l’Oriente fino all’apertura della via Traiana, ma non vi sono conferme storiche.
Certa è invece la presenza di una fiorente comunità ebraica, risalente a un ampio periodo temporale compreso tra il IV e il IX secolo d.C., documentata dalle numerose iscrizioni presenti nell’ultima sezione dell’esposizione museale e soprattutto nelle Catacombe di località La Maddalena, visitabili su prenotazione. Datate tra il III e il VII secolo d.C., si compongono di vari corridoi lungo i quali sono visibili le tombe e diverse iscrizioni, una delle quali è datata 521. Una struttura adiacente ospita catacombe cristiane, a testimoniare la pacifica convivenza tra le due religioni.